Località

Dossi Pisani

Dialetto: i Dòs.

È questo il nome del nucleo rurale, posto all’estremo margine sud-orientale del territorio di Trigolo e storicamente diviso tra il nostro comune e quello di Soresina, nel quale ultimo ricade la parte più meridionale del piccolo nucleo di cascinali unitamente all’oratorio dedicato a San Carlo Borromeo.

La denominazione non ha probabilmente nulla a che vedere con il termine ‘dosso’ inteso nel suo comune senso geomorfologico. ma pare connesso al cognome Dossi Pisani proprio di una famiglia titolare, nel corso del XVIII secolo, di uno dei ‘comuni’ già separati dalla comunità principale ma ad essa aggregati sotto il profilo fiscale, probabilmente da identificare proprio con il nucleo abitato in capitolo.

Oratorio di San Carlo Borromeo
Oratorio di San Carlo Borromeo.

Moscona

Dialetto: la Muscùuna.

È il nome del piccolo nucleo rurale posto a cavallo del confine tra i comuni di Trigolo e di Soresina, che si dividono, così, ciascuno una parte dell’agglomerato di cascinali, lasciando la chiesetta dedicata alla Natività della Beata Vergine in quel di Soresina, ma dal 1923 ufficialmente assegnata alla parrocchia di Trigolo.

Già censita con questa denominazione nel 1551 dal catasto spagnolo, la località potrebbe aver a che fare con il cognome Mosconi, attualmente distribuito nell’Italia centro-settentrionale, con buona presenza in Lombardia come, del resto, in provincia di Cremona. Questo cognome, già documentato dalle nostre parti nel 1453 tramite un tal Petrus Moschonus, sarebbe riconducibile ad un nome o soprannome di origine medievale.

Scorcio
Uno scorcio; sullo sfonda la chiesa di Santa Maria Nascente.

Trigolo

Dialetto: Trìigol.

È un toponomimo di antica origine e noto sin dal 919 attraverso la citazione di un certo Ambrosius de loco Trigulo.

Carta storica
Trigolo, sulla strada tra Fiesco e Soresina, così come appare nella carta "Novo e aggiornato disegno del territorio cremasco co' suoi confini", di Gio. Andrea Bolzini, 1741.
Riguardo all’etimologia del nome sembra ancora utile rifarsi a quanto enunciava l’Olivieri nel 1961 che aveva individuato alcune ipotesi plausibili o possibili, capaci di dare una spiegazione al toponimo; ipotesi che qui si possono riproporre integrandole con qualche ulteriore sviluppo che, pur presentando altre ipotesi etimologiche ammissibili, lascia in ogni caso aperto il problema.

La grafia più antica di Trigulum/Trigolum, corroborata dalla variante, documentata sin dal XIII secolo e poi quasi univocamente registrata dai doumenti successivi, di Trivolum, condurrebbe, in modo abbastanza immediato, ad una base latina tribulum (ma anche trivolum, secondo Varrone) indicante “la trebbia: strumento usato per battere il grano”.

Ma è altrettanto vero che la medesima forma grafica del nostro toponimo potrebbe essere facilmente ricondotta anche al latino tribulus “tribolo”, termine con cui erano indicate, in passato, alcune specie erbacee spinose prima fra tutte il tribolo comune (tribulus terrestris), pianta caratteristica degli incolti aridi e sabbiosi dai fusti prostrato-striscianti; ma anche la calcatreppola (eryngium campestre) un tempo frequente negli stessi ambienti o, secondo altri, anche la centaurea calcitrapa, meno caratteristica, però, dell’ambiente padano.

D’altro canto sembra opportuno segnalare come nel dialetto mantovano con il termine trigol si indichi la castagna d’acqua (trapa natans), così definita anche in alcuni dialetti veneti, il cui nome è senz’altro suscitato dalla forma del frutto portante quattro appendici spinose: circostanza che consente di ricondurlo alla base latina tribulus già analizzata. A differenza delle precedenti, però, questa è pianta caratteristica degli ambienti palustri, oggi piuttosto rara e localizzata, ma un tempo assai più comune e presente, per esempio, anche negli stagni e nelle paludi del Moso di Crema, secondo le testimonianze ottocentesche.

L’altra ipotesi avanzata dall’Olivieri contemplava l’eventuale derivazione di Trigolo dal latino triticum “frumento, grano”, magari, potremmo aggiungere, attraverso un diminutivo sincopato tri(ti)culum, indicativo, forse, di grani minuti (quali panico, sorgo, scandella, eccetera) nel loro insieme. Ora, tale ipotesi parrebbe meglio percorribile stabilendo un paragone evolutivo con lo spagnolo trigo “frumento”, la cui trasformazione fonetica prevede la trafila tridigo >tridgo >trigo, nel caso nostro sempre prevedendo l’aggiunta di un suffisso diminutivo -ulum.

Ora, di tutte queste proposte, la prima tra quelle di ispirazione fitonimica sembrerebbe meglio accreditabile se messa a confronto con altri fitotoponimi, anche molto prossimi a Trigolo, come era, per esempio, quello di Brugum, ora scomparso ma noto sin dal 1110, e corrispondente ad un piccolo abitato poco discosto dall’attuale Albera, oggi in comune di Trigolo, osservando che anche questi due ultimi toponimi mostrano di derivare da una base fitonimica (albarus e silva).

Tuttavia la scarsa capacità connotativa insita in ciascuna delle spiegazioni appena prospettate, rispetto alla ricerca di un qualche elemento peculiare che possa meglio identificare un luogo, come succede di norma per toponimi derivati da termini non generici, quale sembra essere quello in esame, non pare adattarsi all’apparente rarità del nostro toponimo, la cui spiegazione pretenderebbe qualche cosa di meno indeterminato e diffuso. Allora una soluzione forse meglio adatta a rappresentarne il valore semantico potrebbe essere trovata nel significato esteso dello stesso termine tribulum, inteso come “luogo dove si pestano o si tritano i grani cereali” secondo un’accezione medievale documentata, che varrebbe, in qualche modo, ad identificare un luogo fisico caratterizzato da una sua precisa funzione: il che potrebbe meglio giustificare il conio di uno specifico nome.

Seguendo questa stessa strada non si vuole sottacere nemmeno l’ipotesi che alla base del nostro toponimo possa esserci stata la voce latino-medievale tricolus/triculus “rivenditore di erbe o di derrate alimentari” tramite facile passaggio -c- > -g- per sonorizzazione di tipo dialettale, passata ad indicare anche un luogo fisico, quale uno spaccio di vettovaglie, se non già un luogo di sosta e di ristoro, come pare essere successo per il francese trigalle #8220;taverna”.

Infine, un’ulteriore ipotesi, questa volta di ispirazione geomorfologica, indirizzerebbe, invece, verso la base latina (u)triculus “piccolo otre” che, in senso traslato, potrebbe alludere ad un luogo in cui confluiscono e si raccolgono le acque piovane e di scorrimento superficiale: eventualità non discorde con l’originaria morfologia di questi luoghi.

Accesso all'antico nucleo della cittadella
Accesso all'antico nucleo della cittadella.

Vaprio

Dialetto: i Vàer.

Si definisce ancor oggi con il nome di Vaprio un’ampia regione compresa, grosso modo, tra gli abitati di Fiesco, Trigolo e Castelleone, contraddistinta nella sua porzione centro-meridionale, sotto il profilo geomorfologico, da una successione di livelli separati tra loro da deboli salti di pendenza, il più delle volte contrassegnati da scarpatelle di 1-3 m di rigetto — ma talora anche più — che ne scandiscono le variazioni altimetriche e caratterizzata, dal punto di vista litologico, da estesi depositi prevalentemente sabbiosi che al loro limite meridionale appaiono intagliati da una serie di profondi e stretti solchi di origine idrologica creati, per erosione regressiva, da un sistema idrografico superficiale rappresentato dagli attuali corsi d’acqua denominati la Colòngola, il Casso, il Gambero e il Tramoncello che, attraverso il corso unificato denominato il Retorto (un tempo la Talamona) scaricano nel Serio Morto in territorio di San Bassano.

Già nota sin dal 1022 nella grafia di Vauri, questa particolare area ricompare nella documentazione medievale attraverso la citazione di alcuni personaggi detti de Vauro nel 1224 e poi ancora nel 1228 tramite la menzione dei dossa Vauri. A Trigolo se ne trova traccia nei primi decenni del XV secolo nella grafia in Vaprio, cui si aggiunge la citazione di un tal Binatus de Vafri che fa pensare anche all’esistenza di un abitato così chiamato: supposizione confermata dai diversi altri personaggi, detti de Vauro, già citati in documenti ducenteschi. Ma anche in seguito non sarà sconosciuta la registrazione di questa zona nella formula di ubi dicitur il Vaure o di ubi dicitur in Vauro anche a Fiesco e a Castelleone.

Notato, poi, che anche a Romanengo si trova registrata nei secoli XV e XVI una zona, retrostante il locale castello — tra questo e la strada per Crema - detta in Vauro o, più tardi, in burgo vie Creme sive contrata Vapri, è necessario, però, ricordare che l’ulteriore importante riferimento per noi più significativo riguarda senz’altro quell’altra ampia regione a nord di Crema che sin dal 1192 viene registrata come in Vaure, della quale facevano parte gli abitati di Cremosano, Trescore, Casaletto, Bordenacium, Quintano, Pieranica e Torlino, il cui ricordo rimane oggi nel nome di Casaletto Vaprio. Tali abitati sono rinominati ancora negli anni 1219 e 1226 come appartenenti alla regione detta in Vauro ovvero in Vaure. Ma vale qui la pena di segnalare che già in un documento nonantolano della metà dell’XI secolo compare una località in Vafri che, sebbene non individuabile con precisione, si può ritenere identificabile con una delle due principali regioni sopra nominate, riguardando il documento un inventano dei beni del monastero di San Silvestro di Nonatola in territorio cremonese. E potrebbero esserci ragioni per credere che lo stesso toponimo, nella forma grafica di Vabris, sia riconoscibile in una pergamena dell’anno 774. Considerate, dunque, tutte le grafie sopra citate e valutate le possibili analogie geografiche delle regioni così denominate (alle quali si potrebbero aggiungere confronti con le altre omonime ombarde e piemontesi), sembra ammissibile individuare in un tema di origine gallica wob(e)ro/wab(e)ro “ruscello infossato, valle stretta e profonda” e, da qui, anche “ruscello più o meno nascosto”, in alcuni casi anche in presumibile rapporto con vabra “bosco, terra incolta” cui, forse, non sarà del tutto estraneo il concetto di “terre soggette ad uso pubblico o collettivo” i cui esiti trovano decine e decine di riflessi toponomastici nel centro e nel sud della Francia tramite le voci occitaniche vabre od anche vaur, vauri “solco scavato dalle acque, rivo incavato, torrente, crepaccio”, nonché le voci della lingua d’òil vevre/veure o voivre “terra incolta, cespuglieto, macchia di vegetazione”.

Giudicate, dunque, la conformazione geografica, la natura idrologica e la presumibile configurazione archeoambientale che avrebbero potuto accomunare, da noi, soprattutto le due ampie regioni così chiamate storicamente, si potrebbe, forse, trovare per i loro nomi un comune denominatore semantico nella definizione di “area solcata da corsi d’acqua, presumibilmente incassati entro il livello di campagna (come succede a Castelleone) dal percorso più o meno nascosto dal bosco o dalla macchia”.

Bibliografia

Le informazioni sono strate tratte da "Toponomastica di Trigolo", promosso dalla Provincia di Cremona e a cura di Valerio Ferrari e Alfredo Labadini, Cremona, 2009.